L'intervista

Le interviste a protagonisti della scena parmigiana (e non solo) a cura di Francesca Ferrari, giornalista e critico teatrale.

ROSARIO LISMA: "GIUSTO, un racconto tra comicità e dramma"

Forse i più lo riconosceranno per le sue brillanti interpretazioni cinematografiche e televisive, dalla divertente saga di “Smetto quando voglio” diretta da Sidney Sibilia, all’apprezzatissimo “La mafia uccide solo d’estate”, fino all’ultima prova de “La stranezza” con Toni Servillo (al cinema in questi giorni, ndr), e poi ancora dalla miniserie “Romanzo siciliano” di Lucio Pellegrini, a diversi episodi del Commissario Montalbano sulla rete ammiraglia. Non tutti sanno, però, che la vocazione attoriale di Rosario Lisma nasce e cresce a teatro, dove negli anni ha dimostrato carisma, empatia, e indiscutibile talento, anche come autore.

Ed è proprio con una sua drammaturgia che Lisma sarà in scena al Teatro di Ragazzola, sabato 17 dicembre, alle 21.15; un lavoro scritto durante il periodo di fermo imposto dal primo lockdown, ma che aveva in animo di raccontare da molto tempo prima. Protagonista della storia è Giusto (da cui il titolo dello spettacolo), timido e mite impiegato siciliano, trasferitosi a Milano, che si trova ad abitare suo malgrado in un mondo grottesco, spietato, cinico, e con il quale il pubblico stabilisce subito un legame di forte vicinanza e solidarietà, aiutato in questo anche dal registro ironico cui Lisma si affida per il racconto.

Giusto è un uomo buffo, solo, emarginato e deriso dai colleghi, eppure nel suo nome si percepisce quasi una nota vincente, di giustizia appunto. È così o in questo nome si nasconde un paradosso? “C’è in realtà un gioco di contraddizioni ed è lo stesso personaggio a rivelarlo quando dice che quel nome è sbagliato per uno come lui. È un nome che deriva da un errore all’anagrafe e che in qualche modo marchia da subito il protagonista come un disadattato, un corpo estraneo all’interno di un sistema ordinato, preciso. Nomen omen, sì, ma come sbaglio. Tuttavia, questo aggettivo che si fa nome proprio può indurre lo spettatore a farsi una domanda importante: quell’uomo è veramente sbagliato così come ci racconta oppure è un essere anomalo ma davvero giusto? La sua esistenza di “giusto” può da subito sembrare uno scherzo del destino, ma, con l’avanzare della storia, svela la sua rara bellezza. Alla fine è questo pensiero che si fa avanti: quelle sue caratteristiche di nobiltà d’animo, di garbo, di timidezza, anche se estreme e talvolta fuori luogo, sono molto più giuste rispetto alla natura degli altri personaggi della storia. Salvo poi vedere che anche Giusto vivrà una trasformazione personale”

Quanta comicità e quanto dramma, inteso come critica sociale, ritroviamo in questa storia? Sono registri in equilibrio fra loro oppure uno prevale sull’altro? “Credo di essere riuscito a creare un buon equilibrio e me ne accorgo dalle reazioni del pubblico, dalla temperatura in platea, e poi dai feedback post spettacolo. Alcuni spettatori dicono di divertirsi tantissimo, altri per contro di essersi emozionati e persino commossi dalle esperienze che Giusto deve attraversare. Come artista cerco da sempre d’ispirarmi a un umorismo che sappia mischiare comicità e dramma, che riesca a tenerli insieme. Del resto, l’opera drammaturgica, così come quella letteraria, non esiste mai di per sé: esiste in relazione a chi guarda e ascolta, e ogni spettatore ritrova qualcosa di diverso rispetto agli altri, qualcosa che ha a che fare con il proprio vissuto”

La scelta d’indossare lo smoking è funzionale al racconto poiché il personaggio si presenta a una festa, sbagliando tra l’altro il costume. Tuttavia sembra suggerire anche altro, un bianco e nero nella vita del protagonista. È così? “Per certi aspetti sì. Mi piace il contrasto che si crea visivamente fra quel bianco e nero di Giusto e le illustrazioni colorate alle sue spalle che raccontano un mondo attorno grottesco, pacchiano, chiassoso. Lui è lì solo, puro, in quel nitore assoluto dato dall’essenzialità del suo bianco e nero, è goffo eppure vestito in modo elegante, ma comunque sempre inopportuno rispetto al contesto. L’abito sottolinea così il suo stare fuori posto in maniera estrema”

Lei in scena non sarà solo Giusto. A quali altri personaggi della storia ha deciso di dare voce e perché? “Quando ho scritto il testo immaginando la sua traduzione scenica, ho cercato di capire come quegli incontri con i colleghi potessero essere raccontati. Ho pensato che la cosa migliore fosse ricercare un giusto equilibrio fra il narratore protagonista e tutti gli altri personaggi. Ho trovato così un piccolo compromesso: a raccontare è sempre e soltanto Giusto e nel momento in cui parla di un’altra persona, assume lui stesso le inclinazioni nel linguaggio e un nuovo timbro di voce. La narrazione è però tutta sua. Lui è sempre presente in tutti i personaggi che entrano a far parte della sua vita, che vengono raffigurati nelle illustrazioni e di cui racconta aneddoti e battute”

Parlando delle illustrazioni di Gregorio Giannotta… Da cosa nasce la scelta di creare un contrappunto visivo così significativo alla narrazione? “Quel mondo impiegatizio surreale, cinico, crudele, raccontato da Giusto andava rappresentato, fissato in un’immagine esemplare. Questo modo di procedere mi ha fatto pensare al romanzo di Pinocchio, che fu pubblicato a suo tempo in capitoli e ognuno veniva accompagnato da un disegno originale che ne racchiudeva il senso. Si è soliti avvicinare Giusto alla figura di Fantozzi, entrata ormai nell’immaginario collettivo, ma si potrebbero trovare analogie anche con la dimensione onirica, surreale, abitata da figure antropomorfe, dell’universo collodiano. Pinocchio è il protagonista di un romanzo di formazione, ma anche Giusto attraversa un arco di sviluppo e vive una metamorfosi, seppur in età adulta”

L’elemento favolistico e metaforico a cui lei si riferisce è ben identificabile anche nel personaggio di Salvatore, un calabrone enorme che passa il tempo dipingendo finestre sui muri… “Un calabrone ma anche un filosofo a tutti gli effetti, non si sa se frutto della fantasia di Giusto, oppure reale. Sarà il maestro spirituale di Giusto e lo convincerà a provare l’impossibile, a scoprire altre sfaccettature della sua personalità. È un personaggio positivo che darà, ad esempio, la spinta decisiva a Giusto nel trovare il coraggio di dichiarare il suo amore alla figlia del potentissimo capo. La particolarità di questa figura del calabrone, il suo carattere inverosimile e surreale, evidenzia però anche la solitudine di Giusto, quel sentirsi avvolto in un bozzolo simbolico, che gli impedisce di dispiegare da solo le ali”

Oggi, a parer suo, abbiamo più bisogno di eroi o di antieroi come Giusto? “In realtà Giusto è un antieroe che, col tempo, si trasforma, diventando anche lui un “finto” eroe. Ebbene, oggi troppo spesso gli eroi o presunti tali cadono dal piedistallo. Giovanni Falcone diceva “se ciascuno facesse il proprio dovere, non ci sarebbe più bisogno di eroi”. Credo sia ciò a cui dobbiamo aspirare come cittadini; dobbiamo comprendere che l’assunzione di responsabilità da parte di tutti è vitale e non rappresenta un atto eroico. Viviamo in tempi molto conformisti, dove è forte la tendenza alla semplificazione e all’individualismo. L’eroismo vero, invece, non può che venire da saggezza, empatia e solidarietà”

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