L'intervista

Le interviste a protagonisti della scena parmigiana (e non solo) a cura di Francesca Ferrari, giornalista e critico teatrale.

KATIA IPPASO e ARTURO ARMONE CARUSO: "La favola teatrale de "Il ragazzo di argilla"

Sarà il debutto de “Il ragazzo di argilla”, nuova produzione che si rivolge soprattutto alla fascia dell’adolescenza, ad inaugurare sabato 15 ottobre, alle 21, la stagione 2022-23 del Teatro delle Briciole/Solares Fondazione delle Arti. Un primo appuntamento che presenterà anche ufficialmente al pubblico parmigiano il lavoro, in qualità di artisti associati, di Katia Ippaso, autrice del testo originale (da cui verrà tratto a breve anche un libro pubblicato per Caracò Editore), e di Arturo Armone Caruso, regista dello spettacolo.

Questa produzione, frutto di un lungo percorso laboratoriale condotto dallo stesso Caruso assieme a un gruppo di giovanissimi interpreti del nostro territorio, rappresenta, infatti, il primo movimento di un articolato progetto che i due artisti – in coppia anche nella vita e già fautori sia in Italia che all’estero d’iniziative volte a promuovere l’idea di un “teatro di prossimità”- svilupperanno nel prossimo triennio e che sarà dedicato alle Creature artificiali, attraverso quattro diverse esplorazioni della figura del doppio. Dal mito del Golem- leggenda antica che affonda le radici nella cultura mitteleuropea e dove si narra di un gigantesco pupazzo d’argilla plasmato dal rabbino di Praga per salvare gli ebrei accusati ingiustamente di un omicidio rituale- trae spunto la storia de “Il ragazzo di argilla” che vede qui protagonista un ragazzo del nostro tempo, vittima di bullismo, il quale per difendersi dall’accusa di aver compiuto un misfatto, dà vita al suo personale golem. In scena sabato ci saranno Luisa Marzotto, Francesco Della Volpe, Giovanni Panizzi, Sofia Grazioli, Rossella Sandei, Marta Militello (con un ringraziamento speciale a Max Alinei, Marta Miccoli, Tommaso Vaja), e insieme  a loro anche il Direttore Artistico del Teatro delle Briciole, Giuliano Tenisci, formatosi come attore all’Accademia Silvio D’Amico, che qui vestirà proprio i panni del golem (“Ho accolto con gioia l’idea di tornare sul palcoscenico con un progetto così bello” rivela Tenisci “e anche se non è stato facile dividersi fra la direzione artistica e le prove dello spettacolo, ne è valsa la pena. Condividere l’entusiasmo di questi giovani interpreti mi ha donato nuova linfa e tante emozioni”).

Dicevamo che questa è la prima tappa di un progetto triennale. Da quali istanze scaturisce “Creature artificiali”? (Ippaso) “Tutto è nato da una sollecitazione del Direttore Tenisci che aveva già avuto modo di conoscere, anche durante la sua esperienza teatrale in Francia, le nostre modalità di lavoro. Ci è così stato chiesto di diventare artisti associati e di elaborare per il triennio un progetto organico che si ponesse in ascolto e in dialogo con gli adolescenti. Come siamo poi arrivati al tema del doppio? Arturo è un cultore di fantascienza, mentre io sono da sempre affascinata dalla letteratura gotica, notturna, dell’800 e sono anche un’appassionata di Freud e della psicoanalisi. Il tema del doppio, del fantasma, dell’alter ego ci incuriosiva entrambi e da lì ho cominciato a pensare a un testo che parlasse degli sdoppiamenti in ambito giovanile, dunque degli avatar, delle proiezioni virtuali di sé, dei supereroi. Si discute oggi dell’alienazione degli adolescenti, del loro bisogno di esprimersi attraverso l’invenzione di dispositivi, d’immagini che siano in qualche modo rappresentazioni del Sé. La domanda che vogliamo porci è: perché lo fanno? Perché sentono il bisogno di creare queste figure? E noi adulti siamo immuni da questo tipo di azione? Non creiamo spesso anche noi degli avatar di noi stessi? L’intero progetto sulle creature artificiali lavorerà in tal senso, partendo dal mito del Golem, proseguendo con Frankenstein, dove approfondiremo il momento dell’atto creativo di Mary Shelley, poi l’avatar, con il richiamo a Théophile Gautier, e infine Pinocchio, dove ci soffermeremo sulla figura del padre e sul bisogno di amore”. 

(Caruso) “Alla base del lavoro c’è una riflessione generale sull’essere e sul rappresentarsi. E dunque, in ultima analisi, anche sullo stesso mestiere dell’attore e sul senso dell’arte teatrale. Ci interroghiamo anche sui diversi modi in cui nascono queste proiezioni: con il golem andiamo alle radici profonde della mitologia, con Frankenstein ci avvicineremo alla scienza, con l’avatar toccheremo il rapporto fra il virtuale e il magico e con Pinocchio parleremo del sentimento, dell’amore genitoriale così profondo da infondere vita alla materia inanimata”

La leggenda del golem, proprio per la sua matrice culturale e per le implicazioni religiose, si carica oggi di un significato simbolico più universale e inclusivo? (Ippaso) “Direi proprio di sì. Esiste un libro che io amo, scritto da Sergio Quinzio, che s’intitola “Le radici ebraiche del moderno” in cui l’autore afferma che tutta la nostra cultura deve tantissimo al pensiero e alla letteratura ebraica. Basti citare Freud e Kafka per essere d’accordo. Oggi queste radici ebraiche sono ancora molto forti ma più nascoste rispetto al passato, occorre disseppellirle e questo è il compito di noi formatori artistici. Non dobbiamo dare giudizi ma fornire strumenti di comprensione rispetto a quello che accade attorno a noi, o come in questo caso, rispetto al comportamento degli adolescenti. Così la leggenda del golem ci viene in aiuto e si trasforma, si adatta al presente: il luogo della creazione è una biblioteca e non più la casa del rabbino, il golem non è un mostro d’argilla ma una sorta di amico immaginario, e il ghetto ebraico diventa la periferia di una grande città, dove il nostro giovane protagonista, Giacomo, vive isolato, con una madre che lavora sempre e un padre purtroppo assente. Il ragazzo è la vittima predestinata dei bulli di quartiere e, a un certo punto, deve anche dimostrare la sua innocenza per un brutto fatto che rischia di coinvolgerlo. Nello stato di disperazione in cui sprofonda arriva in soccorso una luce, Aurora la bibliotecaria, che lo mette in contatto e relazione con la parola scritta in un libro. In quell’incontro letterario, in quella parola ritrovata, c’è il risveglio del golem, una creatura magica, immaginaria, e solo nel momento in cui il golem, che ha una coscienza informe, abbozzata, inizia ad esercitare una forza smisurata, a provocare danni e confusione nel mondo reale, Giacomo è costretto a riaddormentarlo, a trasformare la parola Emet (verità) in Met (morte). Una lettera dà la vita, una lettera la spegne”

Il titolo già richiama la figura tradizionale del golem, creatura plasmata col fango, e introduce da subito uno dei temi fondanti del lavoro, quello della fragilità nell’adolescenza. Nel dipanarsi della storia quali altre tematiche emergono? (Caruso) “È un testo che permette di toccare un intreccio di argomenti. Il tema religioso si lega a quello della scrittura, come Dio che crea l'universo dalle lettere dell’alfabeto e l’umano stesso prende forma grazie alla parola. E poi c’è il rapporto fra ciò che è considerato vivente e ciò che non lo è, ma anche la forza della fantasia, il mondo delle relazioni. Sulla scena noi proveremo a mostrare tutti gli snodi di una storia su cui poi il pubblico muoverà le proprie personali riflessioni”

(Ippaso) “Il golem è esso stesso una proiezione dell’identità del ragazzo, o meglio del suo inconscio, rappresenta il desiderio di essere amato, di avere un amico che lo aiuti a superare il rito d’iniziazione da un’età all’altra. Ecco perché credo che “Il ragazzo d’argilla” parli a tutti: racconta dei passaggi iniziatici di tutti noi nei vari stadi dell’esistenza e di come si possa mantenere vivo lo spirito dell’adolescenza aprendo continuamente delle porte verso l’ignoto, affidandosi alle lettere che sono davvero salvifiche. Ho fatto mia la frase di Woody Allen “Leggo per legittima difesa”. Penso che sia davvero così, che la lettura sia capace di sollevarci dal travaglio delle oppressioni sociali che incontriamo in età adulta e dal peso del giudizio degli altri che ci portiamo sempre dentro”

Sul piano della rappresentazione quale registro interpretativo verrà adottato e quanto conterà l’uso di elementi simbolici e allegorici? (Caruso) “Le fonti d’ispirazione anche per la messinscena sono quelle della Mitteleuropa, per cui per me era inevitabile guardare all’opera di Tadeusz Kantor, a un’idea di teatro povero, essenziale ma fortemente simbolico. Ho poi voluto inserire l’elemento comico perché esiste una tradizione polacca in cui si racconta di un golem combina guai. Nella traduzione scenica ho cercato così di reinterpretare gli incubi e le inquietudini dei personaggi in una maniera più leggera, in una dimensione klezmer ma poetica e quasi surreale. Il golem in questa storia si riaddormenta per volontà del suo padrone, ma non muore, è come se restasse una potenzialità, una creatura magica pronta a risvegliarsi nel momento più propizio. Sono contentissimo di aver potuto attraversare tutto questo con un gruppo d’interpreti in formazione di età compresa fra i 15 e i 18 anni, e di poter realizzare così un progetto teatrale con i giovani e per i giovani”

Sappiamo che nella tradizione ebraica il golem a un certo punto si ribella al suo creatore. C’è il rischio che l’immaginazione, così come raccontata nella vostra storia, liberata dalla parola scritta, possa poi portare a una forma d’inazione, all’immobilismo? Oppure l’incontro con la parola implica già un cambiamento, una trasformazione sostanziale? (Ippaso) “L’immaginazione crea mondi, che possono involvere oppure determinare a loro volta degli effetti. Con le parole noi possiamo rimanere immobili, ma in questo caso la parola porta a conseguenze non scritte. E il golem, non avendo coscienza autonoma, è sempre l’interfaccia di chi l’ha creato: lui ha un padrone ed è il suo creatore. Questi può essere dio, il rabbino dell’antica Praga oppure un ragazzo bisognoso di affetto. Mi piace guardare al nostro spettacolo come a una favola teatrale, dove ci si interroga sul potere di dare la vita o la morte ai diversi aspetti del nostro Essere. Forse anche per questo ho scelto di non mostrare l’ambiente della scuola, ma di uno spazio comune e libero, la biblioteca, che diventa luogo ideale di approccio alla lettura. È un atto di ribellione, se vogliamo, alle istituzioni, al conformismo, a un sistema sociale che troppo spesso non protegge le vittime di abusi e violenza”

(Caruso) “Esattamente, “Il ragazzo di argilla” è una parabola salvifica che si compie attraverso il percorso della parola, e che esalta il valore catartico dell’immaginazione”

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