L'occhio di riguardo

Una sezione affidata alla buona volontà e cortesia di illustri protagonisti della scena teatrale che hanno accolto l'invito a scrivere un commento, una riflessione, un pensiero sul Teatro di oggi, partendo dal racconto della propria personale esperienza con la realtà artistica parmigiana. Uno spazio di libera espressione per uomini e donne di teatro che possa essere significativo, stimolante ed esemplificativo per lo spettatore del presente.

 

ANELLODEBOLE O DEL NONNO ZEN

(Come nasce una comunità teatrale? Non una compagnia in senso tradizionale, ma una vera e propria comunità che agisce sul territorio e lo rifonda attraverso la relazione umana ed artistica con i suoi abitanti? È un esempio egregio di lavoro dinamico e formativo, di artigianato teatrale e partecipazione collettiva quello che si sta compiendo nel paese di Felino, sulle colline parmensi, e che vede il regista Vincenzo Picone tra i suoi ideatori e principali artefici. In questa bellissima riflessione scritta dallo stesso Picone in esclusiva per Teatropoli troverete il racconto delle motivazioni, delle domande e delle azioni concrete, quotidiane, che hanno condotto - grazie all'entusiasmo, all'operosità e all'ingegno inesauribile di un gruppo di giovani artisti, capaci di coinvolgere attivamente la popolazione locale - alla genesi di un progetto teatrale tanto innovativo quanto antico, poiché fondato sulla funzione più nobile, essenziale, autentica e vitale del Teatro stesso: saper stabilire relazioni. Non sempre è necessario un palcoscenico; a volte per ritornare al Teatro, "per attraversare la frontiera fra te e me", serve un orto, una piazza o il greto di un torrente)

Io pensavo che occuparsi di comunità attraverso il teatro fosse immaginare dispositivi creativi per coinvolgere le persone e - se va bene - porre dei dubbi, delle domande, sui nostri tempi. Nel migliore dei casi queste persone si sarebbero raccontate, avrebbero scardinato la propria quotidianità - almeno in un tempo preciso - e si sarebbero riviste con più desiderio. Vedersi, riconoscersi, è già un primo passo verso la condivisione. Questo, più o meno, pensavo un anno fa, prima che gran parte dei ragazzi e delle ragazze che hanno deciso di intraprendere questo percorso di studio e ricerca - parallelamente alla loro personale formazione - si sono fisicamente trasferiti accanto alla mia abitazione.

D’un tratto, come negli appunti  da me tanto amati di J. Copeau, vita quotidiana e immaginazione artistica e lavorativa hanno iniziato  a confondersi. Perché prima di fondersi, le cose, devono necessariamente confondersi. Anche caoticamente. E, se sei fortunato, dal caos - come dicono - nasce sempre qualcosa. D’un tratto, quindi, la prima comunità a cui pensare è diventata la nostra. Non c’è voluto molto tempo per comprendere - fisicamente, mentalmente ed emotivamente - che ogni singola persona di questo nostro luogo portasse già dentro di sé una complessa comunità. Dentro ognuno di noi vivono riflesse tutte le persone, le dicotomie, i conflitti che vediamo fuori. Dentro di me vive il lavoratore instancabile, quello che pensa a come arrivare a fine mese, l’artista, il critico a cui non va mai bene nulla, il pessimista, l’adolescente desideroso, il bambino insoddisfatto e il vecchio seduto sulla  panchina arrugginita. Come nelle scatole cinesi, una comunità dentro un’altra. Un gioco di cerchi concentrici, dal più piccolo e invisibile sino ad arrivare ai sistemi complessi. Come occuparsi di tutti questi? Come dare attenzione al nostro vivere insieme, immaginando azioni complesse e faticose come fare un orto comune con i vicini, e nello stesso tempo lavorare con le persone del territorio e delle comunità limitrofe?

Mio nonno direbbe “un colpo al cerchio e uno alla botte”; un maestro Zen invece affermerebbe serafico: “segui il respiro”.

Così, dopo il debutto del festival “I Giorni dell’Alambicco” nell’estate del 2021 sul territorio di Felino, abbiamo iniziato ad immaginare pratiche ed azioni che andassero verso l’interno del gruppo - inspirazione - e altre che continuassero e ampliassero l’attività esterna al gruppo, espirazione o botte, per dirla come il nonno zen. Due principali azioni sono state messe in campo relativamente al primo step; la prima è stata - ed è - iniziare a decentralizzare la mia figura registica. Senza rinunciare all’inevitabile punto di riferimento professionale all’interno di un gruppo di giovani che deve comunque ancora formarsi e strutturarsi, mi e ci è parso fondamentale iniziare a responsabilizzare le scelte dei singoli e rendere ognuno il più possibile sganciato da inevitabili legami emotivi con una figura di riferimento. Insomma, sperimentare già internamente una collaborazione meno verticistica e più circolare. Anche per questo la seconda azione è stata quella di un “auto formazione”, realizzata in piccoli spazi che lentamente stanno prendendo vita nel posto in cui viviamo, e che ha visto avvicendarsi artisti con differenti focus tematici: da Azzurra Zanioli per un lavoro su di sé attraverso pratiche energetiche a Gian Marco Pellecchia con la commedia dell’arte; dagli esercizi vocali di Guido Maria Grillo alle maschere e i puppet di Emanuela Dall’Aglio; dalla danza di Simone Arganini ai dispositivi di comunità di Giorgio De Gasperi (che verrà da noi a breve). Pillole di formazione ovviamente, che in questo momento hanno altresì l’obiettivo di far assaporare pratiche e possibilità ancora da approfondire.

Sul versante “esterno”, invece, si sono delineati tre principali nuclei progettuali che, per comodità, sintetizzerò schematicamente (memore dei bandi, super bandi e bandetti, per non dire banditi, che le realtà culturali del nostro paese si ritrovano a compilare quasi giornalmente per trovare sussistenza economica):

  1. Il Paradiso è un Inciampo è un progetto che sta indagando, dallo scorso autunno, la “parte ombra” della giovinezza che, a sua volta, ci sembra essere la parte ombra della nostra amata società civile. Seguendo gli scritti di P. Goodman e di W. Benjamin, abbiamo attivato due percorsi di ricerca: uno in collaborazione con il Centro giovani di Felino e il Centro Montanara di Parma attraverso laboratori teatrali; l’altro seguendo l’attività dell’educativa di strada di Felino e di Parma incontrando parte delle ormai famose ed etichettate “baby gang”. Il materiale raccolto, gli incontri, le interviste e i testi prodotti dai ragazzi saranno materiale creativo per la drammaturgia che darà vita ad uno spettacolo nel mese di Agosto. Stiamo ragionando, anche qui, su un dispositivo teatrale che possa permettere ad alcuni giovani coinvolti di partecipare al lavoro finale incrociando le loro storie con la drammaturgia classica (cosa accade se la storia di Ofelia si sovrappone a quella di Sofia di 15 anni?).
  2. Collaborazioni con altre realtà territoriali. Abbiamo iniziato importanti collaborazioni artistiche in cui continuiamo a sperimentare un approccio teatrale che sia in grado di sconfinare la frontalità attore-spettatore. Come nel caso del Festival della Lentezza, per cui stiamo realizzando un percorso, tra i commercianti di Colorno incontrati in questi mesi, che si svolgerà con delle audio-guide, e che si interroga sugli effetti nefasti del Capitalismo sui lavoratori autonomi e i piccoli artigiani; o la collaborazione con il PUP (Polo Universitario Penitenziario), in cui utilizziamo lo strumento teatrale come grimaldello narrativo e drammaturgico nel lavoro tra studenti universitari e detenuti.
  3. Festival e lavoro su comunità di Felino. E poi c’è il lavoro iniziato due anni fa con il nostro territorio di riferimento. Dopo la prima edizione del festival si sono solidificate delle relazioni e delle collaborazioni e sta accadendo qualcosa che desideravamo, nei nostri intenti, sin dall’inizio del progetto. Quest’anno, infatti, stiamo costruendo il festival di fine Agosto, I Giorni dell’Alambicco, raccogliendo suggestioni e proposte delle realtà che abbiamo coinvolto l’anno precedente. Questo vuol dire che si è attivato non solo un rapporto di fiducia ma anche di collaborazione attiva. In questo caso, il teatro, si fa carico delle intuizioni del territorio per trasformarle in appuntamenti artistici. Il tema di questa edizione sarà la Combustione, ovvero la prima fase della distillazione dell’Alambicco. Intendiamo per combustione la necessità che venga riaccesa la fiamma, che ci si incontri di nuovo per produrre luce: intorno a quale fuoco si ritrovano oggi le nostre comunità? Come mantenere viva la fiamma che ci abita? Oltre a percorsi ed appuntamenti nati con la comunità, ci saranno ospiti esterni, con una maggiore attenzione alla proposta di workshop, proprio per assecondare la possibilità creativa dell’incontro.

Questo è, al momento attuale, ciò che si muove dentro e fuori Anellodebole, nella fatica di farsi anello e congiunzione di parti diverse del nostro vivere comune, e di una realtà sempre più polarizzata (si vs no; pro vs contro…), provando a stare nelle nostre fragilità e debolezze. Se conosciamo le nostre, forse, possiamo rapportarci a quelle degli altri.

Ma in tutto ciò, il teatro, che funzione ha? Dove si colloca?

Mentre mi pongo questa domanda, Davide, uno dei ragazzi della compagnia, ci scrive un messaggio su uno dei tremila gruppi whatsapp. Dice questo:

“Accadono cose belle attraverso l’orto (e non solo) che vanno oltre il piantare e ciò che mangeremo. Stamattina sotto la barchessa c’erano Giordano e Domenico insieme che chiacchieravano. Domenico ha portato altre potature per il cippato. Negli ultimi pomeriggi si incrociano spesso, chiacchierano. Maria è sempre pronta a fare un saluto, una chiacchiera con Mariella. Non è scontato tutto questo, anzi credo che sia la radice invisibile del nostro “lavoro” che va oltre la burocrazia, il festival, il comune di Felino, le finanze, i bandi ecc… È più grande di quel che vediamo quel che accade..”

Ecco. Diciamo che alla domanda iniziale, sul teatro, sulla nostra ricerca etica ed estetica, del suo utilizzo come strumento politico o come fine ultimo di un’esperienza visiva, mi prendo e ci prendiamo ancora un po’ di tempo, per viverlo ancora da dentro, provando a guardarlo da fuori, che altrimenti, si rischia di perdere il sacro equilibrio di un gioco molto serio.

Mio nonno direbbe: “andiamo a teatro, così stiamo un poco insieme che non ci vediamo mai”. E gli farebbe eco Grotowski, che mio nonno nemmeno conosce. Ma sarebbe felice se sapesse che anche lui diceva: "Il teatro non è indispensabile. Serve ad attraversare le frontiere fra te e me”.

Vincenzo Picone

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