L'intervista

Le interviste a protagonisti della scena parmigiana (e non solo) a cura di Francesca Ferrari, giornalista e critico teatrale.

ANGELO DI GENIO:" Road Movie ci fa riflettere sul bisogno di umanità"

E’ da molti ritenuto uno dei più bravi e intensi attori della sua generazione e i suoi recenti successi teatrali (due su tutti, “Geppetto e Geppetto” di Tindaro Granata e “La bisbetica domata” con la regia di Andrea Chiodi), così come i tanti premi vinti (tra cui il Premio Nazionale della Critica e il Premio Mariangela Melato, entrambi conseguiti nel 2016) non fanno che avvalorare questa opinione ormai consolidata sia fra gli addetti ai lavori che tra il pubblico. Del resto, la grande professionalità di Angelo Di Genio, attore lombardo di origine salernitana, diplomatosi alla Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi, è il segno inconfutabile di una crescita artistica vocata alla sperimentazione, alla generosità interpretativa, allo studio approfondito e a un impegno personale non sempre parimenti riscontrabili tra le file degli attori under 35. Con un monologo di grande potenza e incisività, Di Genio sarà in scena sabato 3 marzo alle 21.15 al Teatro di Ragazzola: lo spettacolo “Road movie”, prodotto dal Teatro dell’Elfo di Milano, è infatti tratto da un testo contemporaneo forte, intimo e profondamente commovente di Godfrey Hamilton, vincitore del Fringe First Award al Festival di Edimburgo del 1995 e già rappresentato con vivo successo in numerosi paesi.

Una prova non facile questo tuo monologo. Come ti sei accostato al testo di Hamilton e come ne hai vivificato il linguaggio? “Lo spettacolo mi è stato proposto da Gianmaria Cervo, un bravo drammaturgo italiano, nonché direttore artistico del Festival Internazionale “Quartieri dell’Arte” di Viterbo, il quale aveva visto la versione originale dell’opera, quando fu presentata ad Edimburgo. Secondo Cervo non c’era in Italia una drammaturgia paragonabile per contenuti e forma a quella di Hamilton, una scrittura che avesse affrontato il tema dell’AIDS analizzando le relazioni umane, il sentimento di paura che pervade chi ne è toccato, così come la strenua necessità di aggrapparsi alla vita. Certamente questa è una paura che affonda le proprie radici nei primi anni ’90, quando si cominciò a parlare di questa epidemia moderna con maggiore insistenza, ma, pensandoci bene, è una sensazione che ci portiamo ancora addosso e che si è tradotta, oggigiorno, nel terrore dell’Altro. Per me leggere questo scritto è stato un vero colpo di fulmine: quello di Hamilton è un racconto affascinante, tradotto in un linguaggio vivido e reale, raro da incontrare, che sa esplorare con grande concretezza e sensibilità temi complessi come la paura della morte e l’empatia verso il dolore altrui. Solo ascoltando storie simili a quella raccontata in “Road movie” si può comprendere fino in fondo il significato della parola “coraggio”.

Paura della morte, dicevi, ma anche paura dell’amore. In che modo si legano nella storia? “Tutto ruota attorno al protagonista Joel, un giovane gay, giornalista rampante, totalmente catturato dalla frenetica vita della città in cui vive, New York, un luogo dove sembra ci sia spazio solo per la propria individualità, dove intrecciare legami autentici è molto complicato. Un giorno Joel compie un viaggio a San Francisco e là incontra Scott, una persona diversa da lui, un ragazzo spirituale, aperto, empatico. Joel se ne innamora, ma è incapace di lasciarsi andare, così torna a New York con le sue paure, finchè non riesce a trovare la forza di ripercorrere il viaggio a ritroso verso San Francisco per vivere il suo amore. E’ un cammino questo più esistenziale che fisico, un percorso che è presa di coscienza e consapevolezza della propria identità, dei propri desideri. Lungo il viaggio Joel incontrerà tanti personaggi che lo aiuteranno in questa sua ricerca interiore, persone a cui io darò voce e corpo, che farò dialogare tra loro in scena. In quei momenti, Joel capirà di non essere più solo, ma di essere parte di una comunità.”

Un viaggio coast to coast che ricorda già nel titolo una idea di libertà e di autenticità alla Jack Kerouac. Con quali differenze? “I rimandi a quel filone letterario sono tantissimi: in primis sul piano dei contenuti, con l’idea del viaggio come ritorno a se stessi, e poi ancora di più se lo riferiamo al contesto degli anni ’60 e ’70 dove si rievocò quell’immaginario di Kerouac. Ad esempio, quando Joel cerca di spiegare la piaga dell’AIDS e parla dei 38 milioni di vittime, fa anche un diretto paragone con le stragi della guerra in Vietnam, introducendo un pensiero che fa capo a una domanda tragica e sempre valida: come si fa ad andare avanti quando si è sopravvissuti ai propri figli? Nello spettacolo è molto forte anche il richiamo alla filmografia che si ispirò a quell’idea “on the road”: il viaggio interiore e fisico di Joel viene teatralmente ricostruito mantenendo una formula cinematografica. L’unica luce in scena è, infatti, un “seguipersona” che assume la funzione quasi di telecamera, riuscendo a catturare e riprodurre primi piani, campi lunghi, piani americani. C’è stata da parte del regista Sandro Mabellini l’intenzione di utilizzare e potenziare il linguaggio cinematografico anche a teatro, e questo ha aiutato molto nel veicolare il messaggio emozionale con più efficacia.”

Come si inserisce, invece, la componente musicale in questo racconto e quanto è importante ai fini della restituizione teatrale? “ E’ fondamentale. Ed è un aspetto di questo lavoro che mi piace molto perché la musica suona dal vivo: le composizioni di Daniele Rotella vengono eseguite con violoncello e pianoforte da Antony Kevin Montanari e seguono i passaggi psicologici dei personaggi come presenza viva e costante. Non è un semplice accompagnamento, ma parte integrante dello spettacolo, affianca l’interpretazione attoriale, ed evoca immagini, paesaggi, emozioni, dolori. Il fatto che la musica viva in scena segue l’idea ispiratrice dello spettacolo, e cioè di vivere ogni aspetto compositivo nel presente teatrale, senza registrazioni, senza nemmeno una “memoria luci”. Vita in scena che traduce, nel momento della rappresentazione, la memoria dei singoli e del loro vissuto narrato nel testo.”

Tra i maestri che ti hanno formato come attore puoi contare anche il grande Massimo Castri. Quale ricordo o insegnamento dei suoi porti sempre con te ? “E’ stato un incontro decisivo per la mia formazione di attore. Ho iniziato nei suoi lavori, con piccoli ruoli che, tuttavia, mi hanno fornito moltissimi strumenti per apprendere meglio questo mestiere. Quello che mi ha sempre colpito del Maestro Castri era la sua grande voglia di trasmettere ai propri allievi ciò che sapeva. Talvolta era burbero, ma sempre desideroso di insegnare. Io ho avuto il piacere di partecipare a un suo corso biennale di Alta Formazione tenuto a Modena e ne ricordo con enorme stima il metodo di lavoro puntuale, la capacità di comunicare la ricchezza del proprio immaginario in maniera precisa e concreta.”

E della tua recente e collaudata collaborazione con Tindaro Granata, uno dei più quotati artisti dell’attuale panorama teatrale, cosa puoi dire? “ Tindaro è come un fratello. Con lui ho avuto il piacere di lavorare in due produzioni di grande successo come “Geppetto e Geppetto” e “La bisbetica domata”. In entrambi gli spettacoli ci siamo riconosciuti in quella comune ricerca di levità che può accompagnare anche tematiche difficili oppure opere classiche come Shakespeare. La leggerezza, intesa non come superficialità, serve per dire ciò che si vuole, aiuta ad arrivare a quel registro tragicomico che ben predispone il pubblico ad accogliere pensieri più complessi. Crei un legame, uno scambio con lo spettatore che diventa così più ricettivo, più sensibile ad ascoltare anche un tema serio. E’ un po’ quello che succede anche in “Road movie”: c’è una forte componente tragicomica perché si parla di malattia e di morte, ma per ricondurre alla bellezza dell’esistenza, al rispetto degli altri, alla memoria degli individui e del loro Essere. E’ su un soffio di vita e speranza che si chiude lo spettacolo”.

Pensi che il pubblico che vedrà “Road movie” apprezzerà che cosa in particolare? “Mi auguro che possa percepire forte la sensazione di compiere un viaggio mano nella mano insieme a noi sul palco e insieme agli altri spettatori in platea. E’ importante ascoltare le piccole storie di vita reale come quelle raccontate in questo lavoro, recuperare la memoria delle singole persone, tornare a dare valore a questa umanità. Questo è un testo monumentale nel portarci a riflettere sul grande bisogno di umanità che sentiamo oggi più che mai. E ci aiuta a non dimenticare la sofferenza degli altri. Cechov già lo diceva: “La nostra sofferenza prepara la felicità di quelli che verranno”, ma purchè non si permetta mai alla paura di lasciar cadere tutto nell’oblio”.    

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