L'occhio di riguardo

Una sezione affidata alla buona volontà e cortesia di illustri protagonisti della scena teatrale che hanno accolto l'invito a scrivere un commento, una riflessione, un pensiero sul Teatro di oggi, partendo dal racconto della propria personale esperienza con la realtà artistica parmigiana. Uno spazio di libera espressione per uomini e donne di teatro che possa essere significativo, stimolante ed esemplificativo per lo spettatore del presente.

 

GIANCARLO ILARI: "VORREI UN TEATRO PIU' UMANO"

(Giancarlo Ilari, un grande attore e un grande uomo, che proprio oggi, l'8 agosto 2017, giorno del suo novantesimo compleanno, ci ha fatto in regalo queste bellissime parole, piene di cuore, valore e sincera umanità )

 

Oggi compio 90 anni. 90 anni di vita di cui circa 80 di teatro. Se facessi il conto di quante vite ho vissuto in scena, gli anni aumenterebbero in modo considerevole…Posso dire di aver vissuto molto intensamente!

Per 33 anni mi sono diviso tra la fabbrica e il teatro: lavoravo come disegnatore tecnico in una grande vetreria della nostra città e il fine settimana partivo verso i grandi palcoscenici europei.

Il teatro mi ha aiutato a vivere, ad invecchiare bene, mi è venuto in aiuto, mi ha dato suggerimenti. È un gioco meraviglioso quello dell’interpretazione, dell’immedesimarsi in un’altra realtà, in un altro cuore, in un’altra mente. E fare finta che sia tutto vero.

Ecco a 90 anni, se potessi, farei ancora teatro e vorrei avere a disposizione l’arma più importante per farlo, la memoria, che invece un po’ se ne sta andando.

Vecchio in scena lo sono stato molte volte: ne Il Canto del Cigno di Anton Cěchov, un piccolo capolavoro che mi ha sempre affascinato anche perché vi si respira l’essenza del teatro, il mestiere dell’attore, la sua solitudine. Vasilij Vasilic Svetlovidov è un vecchio attore con una carriera importante alle spalle che una notte si addormenta ubriaco in camerino e si risveglia spaventato e solo. Scopre che il suo suggeritore, Nikita Ivanyc, abita in uno dei camerini. Sarà occasione per rievocare la gloriosa carriera, recitare i suoi cavalli di battaglia in una struggente interpretazione che sembra essere il suo ‘canto del cigno’.

Una tra le interpretazioni che ho più amato, e sicuramente anche la più impegnativa, in cui si parla anche di morte e vecchiaia, ma soprattutto di Rivoluzione (Francese), è stato il Marchese De Sade, il Marat-Sade di Peter Weiss nella messa in scena diretta da Walter Le Moli, a Teatro Due, nel 1985, e ripreso anni dopo: fermo in poltrona per due ore dovevo recitare a tempo di musica sulle note delle ‘Quattro Stagioni’ di Vivaldi, nell’esecuzione dell’Orchestra Europa Galante diretta dal maestro Fabio Biondi.

Con Alfonso Santagata e Claudio Morganti interpretai Il Guardiano di Harold Pinter in cui io ero proprio il Guardiano, Davies, un barbone vecchio che viene ospitato una notte da Aston nella sua stanza, dove troviamo anche il fratello Mick. Ne Il Guardiano mi ero talmente immedesimato nel personaggio, facendomi anche crescere la barba, che lo stavo diventando veramente. Così, nelle trasferte in treno verso Milano, appisolato nella sala d’aspetto della stazione, mi sentii battere la mano sulla spalla: era il capostazione che mi rimproverò dicendomi che non potevo sostare e dormire lì. A Milano vidi un barbone vero guardare la locandina dello spettacolo - che rappresentava me addormentato su una panchina - sorpreso nel riconoscersi in quell’immagine, pensava di essere lui!

E un vecchio ero ne L’ultimo nastro di Krapp di Samuel Beckett, per la regia di Massimiliano Farau. Un testo magnifico. In scena solo io e un registratore sulle cui bobine incidevo e riascoltavo episodi di una vita intera. Come Krapp oggi, rivedo il mio passato. Non solo di teatro, ma di vita, tutta. Perché un attore non può e non deve vivere solo di teatro ma guardare anche fuori dalla scena, occuparsi delle faccende della vita. 

Oggi mi piacerebbe fare e vedere un teatro più umano, che seppure nel rispetto della tradizione attoriale, possa essere contemporaneo, che sappia affrontare le nuove sfide che ogni giorno si affacciano al nostro quotidiano, portare in scena opere che trattino problemi della società, che parlino di noi, della nostra vita, senza retorica.

Anche se qualcuno per fortuna cerca di percorrere questa direzione nella sua ricerca artistica, tanti sono gli argomenti che il teatro ancora non affronta come, a mio parere, dovrebbe: ci sono interi continenti, come l’Africa o l’Asia, che stanno abitando l’Europa e il teatro non ne racconta. Sono cambiamenti epocali. Così, pure come il precariato, la disoccupazione, la giustizia. Insomma, vorrei un teatro meno di repertorio ma più umano e al presente. Non è più tempo per il teatro di maniera o convenzionale. Vorrei un teatro più autentico. E anche degli autori più autentici. Abbiamo un bisogno di umanità fortissimo. Ricominciamo dal teatro?

Giancarlo Ilari

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