La recensione

LA RIVOLUZIONE DELLE SEDIE

DRAMMATURGIA: Massimiliano Aceti, Matteo Nicoletta

CON: Massimiliano Aceti, Matteo Nicoletta, Federico Lima Roque

REGIA: Barbara Alesse

 

Luca, il direttore. Normodotato. Matteo, il cassiere. Paraplegico. Rino, il magazziniere. Uomo di colore, nato in Italia. Insomma, materiale umano altamente infiammabile dal pregiudizio. Sono questi i tre protagonisti del divertente e graffiante spettacolo allestito, con pochi effetti speciali, ma tanta inventiva drammaturgica, unita a un fresco ed energico talento, negli “Spazi d’ozio” all’aperto del Teatro del Cerchio.

Un’opera giovane sia per la compagnia attorale coinvolta, sia per la realizzazione (risultato di un processo di scrittura e messa in scena svelatosi lentamente, prima in forma di corto teatrale a due e poi gradualmente arricchitosi sul piano interpretativo e tematico) che non manca, tuttavia, di centrare un bersaglio ambizioso: divertire e dissacrare certi luoghi comuni con, possiamo dirlo, autentica cattiveria. Inutile cercare filtri nel linguaggio, nelle forme registiche, negli strumenti d’indagine prescelti, nei dialoghi conduttori e amplificatori di riflessioni e impressioni: qui si gioca duro ma, appunto, si gioca, giacchè è teatro.

Un tipo di teatro che non teme di ricorrere al paradosso e a cui oggi sentiamo di rivolgerci (basti pensare al successo di pubblico e critica ottenuto dai lavori di Carrozzeria Orfeo) perché forte è l’urgenza di smascherare audacemente, con coraggio, le ipocrisie del nostro tempo, profondamente radicate in una subcultura di massa. E allora ben venga anche la vivace, arguta, pungente sferzata al perbenismo dilagante che sa dare “La rivoluzione delle sedie” per la regia di Barbara Alesse, affrontando un tema alquanto spinoso, il pregiudizio nei confronti del diverso, ma declinandolo in molteplici percorsi di trattazione e variazioni di sguardo, che vanno, infine, a toccare tutti, a stravolgere ogni ordine relazionale e professionale possibile. Perché è questo che fa una rivoluzione: non risparmia nessuno.

Così, all’ombra di quel brand di mercato, Eurospin, che assume nella parola “euro” una connotazione sociopolitica più ampia, collettiva, si consuma, quale primo atto, lo scontro feroce, senza esclusione di colpi (nemmeno fisici) fra Luca e Matteo, fra policy aziendale e diritti reali (o solo pretesi) di un disabile: Matteo vuole stare in piedi alla cassa, come gli altri colleghi, e chiede un girello che possa sostenerlo. Una richiesta apparentemente sciocca fa detonare le falsità dell’uno e dell’altro, infrange gli equilibri instabili predeterminati dal conformismo, dalla reciproca fisicità, dallo status lavorativo ricoperto da entrambi sulla scala del potere: chi è realmente più “abile” tra i due nel raggiungere i propri personali scopi ?

Non tutto è come appare e questo sembra essere davvero il leitmotiv che attraversa la vicenda, soprattutto quando ad entrare in gioco è il giovane Rino, italiano per nascita e cittadinanza ma non per etnia. Il suo arrivo prefigura un ulteriore capovolgimento delle dinamiche relazionali, sempre più tese nel rimpallo di battute rapide e irriverenti, condite di crudele sarcasmo, che esplodono in attribuzioni reciproche di colpe, ingiustizie subite o inflitte, vituperi a sfondo razzista, fino al tragicomico epilogo che, alla luce dei recenti, accesi dibattiti sullo Ius Soli, instilla nuove domande e pensieri.

Una recitazione brillante, studiata sui controtempi, nonchè sulla divertente verve espressiva dei tre interpreti, e guidata da una regia presente ma non invasiva, ha dunque prodotto uno spettacolo maturo, godibilissimo per il turbinio ironico, emotivamente trascinante, di confronti e scontri purtroppo esemplari di un moderno comune sentire, e che sa lasciare più di una nota amara, depositando in quelle pieghe drammatiche il suo senso. Tanto il pubblico presente che ha molto applaudito, con un sorriso sulle labbra e uno sparo, a chiudere il sipario, su cui poter a lungo riflettere.

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