La recensione

FOOL FOR LOVE

DI: Sam Shepard
TRADUZIONE: Stefania Casini e Francesca Marciano
CON: Raffaele Esposito, Linda Caridi, Ivan Zerbinati, Roberto Abbati
REGIA: Fulvio Pepe
PRODUZIONE: Fondazione Teatro Due

Abbandonando il contesto originale americano, di motel sperduti nel deserto al confine con il Messico e di protagonisti cow-boys, Fulvio Pepe, regista del nuovo, bellissimo adattamento, prodotto da Fondazione Teatro Due, della pièce di Sam Shepard “Fool for love”, ha idealmente consegnato all’immaginario dello spettatore le coordinate spazio-temporali di una storia torbida e disperata, struggente e dolorosa, scandalosa ma inarrestabile. Aggettivi riconducibili ad un unico sostantivo determinante, caricato di valenza universale, proprio per quel suo essere spogliato di ogni definitezza storica e geografica: passione.

Di questo racconta la storia, della “pazzia d’amore”, travolgente e indomabile, fra Eddie e May (Raffaele Esposito e Linda Caridi, straordinariamente intensi e affiatati), fratello e sorella da parte di padre, che, pur nei ripetuti abbandoni di lui e nei sofferti tentativi di lei di riprogettare la propria vita, restano inseparabili, incapaci di spezzare le catene di una incontenibile attrazione fisica e una devastante dipendenza psicologica. Malgrado, o proprio per, quella loro consanguineità. Artefici e vittime di un destino segnato dalla nascita, da quel padre fedifrago (interpretato da Roberto Abbati) ancora così presente, troppo protervo nei giudizi e in quella sua lezione sul realismo banalmente ispirata da una foto di Catherine Deneuve. Incombente come un ricordo crudele che riaffiora all’improvviso, fantasma che riemerge dal passato come allucinazione condivisa dai due, tra reciproci tormenti e angosce.

C’è tanta sofferenza sul palco, frammista a una sensualità che non sa trattenersi, che fa muovere, sospingere l’uno verso l’altra, contorcere e irrigidire il corpo di May (quasi a cercare un rifugio a quell’amore malato) e vibrare di forza e desiderio quello di Eddie. Un senso di desolata solitudine, di intimo disagio psicologico, di una reale, irrisolvibile, incomunicabilità che esula dalla sfrenata attrazione sessuale e che spesso contraddistingue l’inesorabilità della passione in senso lato, percorre la scena. Lo ritroviamo in quei movimenti, risolti in un perenne abbordare di lui e ritrarsi di lei, ma anche nelle brevi fughe improvvise ( fuori dalla porta dello squallido soggiorno di May, lo spazio d’azione principale, o in quell’angolo del bagno riprodotto a vista) e nel linguaggio che si traduce, perlopiù, in ingiurie volte a riaprire profonde ferite, in rivalse verbali determinate dalla gelosia, e in inviti lascivi da non soddisfare più.

Ma così pure gli elementi scenografici traducono materialmente quella rovinosa deriva sentimentale: un vecchio frigorifero a pedale dove si conserva vodka, una poltrona che funge da simbolico riparo, una spoglia cucina a gas illuminata da un triste lampadario, un misero bagno, con la cassetta del pronto soccorso usata per contenere due soli bicchieri. A sovrastare ogni cosa un cielo plumbeo, minacciose nuvole nere ben lontane da quelle evocate da Eddie per convincere May a fuggire con lui.

L’arrivo di uno strambo corteggiatore della ragazza, Martin (il bravo Ivan Zerbinati), alleggerisce parzialmente la fortissima tensione fin qui respirata ma offre, altresì, l’occasione, in quel sopraggiungere del testimone, per la rivelazione della personale tragedia vissuta dai due ragazzi: una volta scoperta l’incestuosa relazione fra i due, la madre di Eddie si suicidò. E’una reale sciagura, non solo la dannazione inflitta dai propri sentimenti e impulsi, a pesare sui due amanti. Non si potrà, dunque, mai trovare pace a quell’ossessione e a nulla serviranno le promesse di restare insieme, uniti in quell’ardore che rappresenta la fiamma della loro stessa vita disgraziata.

Nel finale, Eddie esce di scena richiamato dal clacson suonato da una presunta nuova amante. Tornerà ? A May, una volta consegnato il carillon dei ricordi, e con esso il fardello di quella confessione, nelle mani di Martin, restano solo il silenzio, una ritrovata calma del corpo, e la ricerca di una pioggia che possa bagnarla e, forse, purificarla.

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