La recensione

LENZ RE-Opening, nel segno di Calderón de la Barca

Sensibilità dell’entità-corpo e sensibilità del pensiero (dove l’accezione di sensibilità apre un ampio ventaglio di significati e rimandi metaforici) rappresentano il perno delle interrogazioni artistiche e filosofiche attorno cui ruota da sempre l’accurata ricerca creativa, filmica e drammaturgica di Lenz Fondazione. È stato così anche nel delicato momento della riapertura delle attività al pubblico e nella presentazione di RE-Opening, la prima parte dell’articolato progetto di Lenz per Parma 2020-21 che ha portato in scena dal 24 settembre al 10 ottobre nei grandi spazi ex industriali di Via Pasubio tre nuove opere performative (Altro stato, Flowers like stars?, Hipógrifo violento) e due videoinstallazioni visuali e sonore (Mondi Nuovi e Melancolía contromano); lavori altamente suggestivi, con drammaturgia e imagoturgia di Francesco Pititto e installazione e regia di Maria Federica Maestri, liberamente ispirati al teatro barocco di Calderón de la Barca, riletture contemporanee che nella loro sospensione metafisica tra passato e modernità idealmente “prefigurano in scena un ipotetico quadro favoloso dell’umanità futura”.

Dal capolavoro La vita è sogno, ricapitolazione forse più illustre della tipologia teatrale spagnola compresa fra Cinquecento e Seicento e punto più alto nella produzione dell’autore, prendono il via Altro stato e Hipógrifo violento, rispettivamente interpretati da due autentiche icone della storia teatrale lenziana: l’intensa attrice sensibile Barbara Voghera e la straordinaria attrice/danzatrice Sandra Soncini. Variazioni esemplari di un unicum teatrale dal valore eterno ed universale, esecuzioni differenti compiutamente tradotte da un'originale, immensa partitura poetica, le due creazioni sembrano diametralmente riflettersi e al tempo stesso confluire l’una nell’altra, nella stessa dimensione visionaria, onirica, sospesa, disturbante e immanente alla materia del corpo, che erge l’ambiguità dell’esistenza a quesito capitale anche della trasposizione scenica: che cosa è vita e che cosa è sogno e dunque illusione?

In Altro stato drammaturgia e imagoturgia tessono insieme una trama ancora più fitta di interrogativi filosofici, innervati sul tema dell’Identità e del suo Doppio, qui espresso nel conflitto sociologico e nel rispecchiamento drammatico fra il servo Clarino e il principe Sigismondo. Gioco d’ombre di matrice militare (una branda sopraelevata su cui giace l’interprete) traspare dietro il pannello-schermo che circoscrive lo spazio del proscenio, senza tuttavia delimitarne il campo d’azione, e che prelude all’universo imagoturgico di derivazione novecentesca ed espressionista (l’insistente e meccanico ripetersi dei movimenti di una marionetta in divisa, Übermarionette trasfigurata) proiettato subito dopo come prolungamento visivo e simbolico alle parole e alla gestualità della protagonista. Ed è qui che il talento limpido, la maturità artistica e la piena dignità performativa della bravissima Voghera, attrice sensibile con sindrome di Down, conducono con verità e forza ad una comune indagine soggettiva, dove il perpetuo oscillare fra diverse personalità drammatiche (davvero stupefacente l’abilità dell’interprete nel calarsi in diverse figure dell’opera e nel colorare vocalmente questi passaggi), il costante contrapporsi fra ciò che è e ciò che appare (sullo schermo ma anche attraverso il richiamo semantico allusivo di alcuni oggetti scenici, ben riconoscibili e visibili), lo scontro-incontro fra sincerità fisica e realtà immaginata, fra presenza e assenza, incarnato nel corpo-psichico dell’attrice, ripongono al centro dell’organismo artistico la condizione stessa dell’Essere umano, i limiti, le fragilità, le illusioni, i tormenti ma anche l’eterna, legittima tensione a quella “libertà” più volte gridata ed evocata come un canto d’uccello in natura, fuori da regole, convenzioni e meccanismi sincronici.  

Verità e finzione, identità e specchio sono i poli antitetici e complementari su cui si fonda anche Hypógrifo violento, “découpage peformativo” affidato alla poderosa espressività vocale e gestuale della splendida Sandra Soncini. Ora è la figura femminile di Rosaura in dialogo con quella di Sigismondo, donna e uomo che entrano in relazione, che si compongono e dissolvono nel trucco, nella maschera, nel costume, nello svelamento della fisicità, che si sovrappongono in un unico corpo, quello dell’attrice, ma che per la stessa natura del loro sesso restano lontani, diversi, opposti, mutuando volto e movenze nell’iperbolica declinazione di una bambola umana dalla camminata incerta, meccanica, eppure impietosa. Eterni antagonisti, dunque, ma vicini nel dolore dell’esistenza, perché “il gran delitto dell’uomo” è condiviso ed è semplicemente quello di essere nato, questo è il suo male e il suo castigo. Così, dopo i passi lenti iniziali, volti a perimetrare visivamente lo spazio- già attraversato da un surreale, preciso disegno geometrico di aste in ferro e bianchi, vaporosi cuscini (che verrà via via alterato e scomposto dalle mirate azioni dell’interprete)- esplode nel dolore fisico, nel caos, negli spasmi a terra e nelle grida, la violenza dell’Hypógrifo metaforico, di un soggetto psichico che non è uomo o donna ma l’Io contemporaneo privato della sua libertà. Cosa rimane della domanda cardine originale? Cosa è dunque la vita? Una danza di figure vulnerabili, inquietanti, passionali, impulsive, senza memoria, a cui resta sul volto una maschera di Morte, antica, tribale, con biacca, occhi neri di pece e labbra rosso sangue. O forse è essa stessa quella di un sogno perturbante, con cui fare i conti, e che nel suo essere primitiva e implacabile detta da sempre il ritmo della Vita. 

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