L'intervista

Le interviste a protagonisti della scena parmigiana (e non solo) a cura di Francesca Ferrari, giornalista e critico teatrale.

MARIO MASCITELLI E MARIO AROLDI:"DON & SANCIO A QUATTRO MANI"

Donatello, per tutti Don, e Sandro, per tutti Sancio. Sono loro i protagonisti del nuovo spettacolo targato TDC che debutterà domenica 3 novembre alle 17, nell’ambito della tredicesima edizione de “Il rumore del lutto” e che vedrà Mario Mascitelli e Mario Aroldi nella doppia veste di autori e interpreti. L’inossidabile coppia artistica, rappresentanza storica della quindicennale attività teatrale svolta dal Teatro del Cerchio, porterà in scena “Don & Sancio” all’Auditorium Toscanini di via Cuneo, in quella che è l’attuale casa, seppur provvisoria, della compagnia. Un nuovo lavoro pensato soprattutto per i bambini, che conferma la volontà di ricerca di questa prolifica e coraggiosa realtà di Parma, sempre più orientata nel “teatro ragazzi” a riadattare i classici della letteratura (in questo caso, il Don Chisciotte di Cervantes) per affrontare temi delicati, complessi, attuali.

Dal titolo si evince a quale capolavoro vi siate ispirati. Eppure il fulcro tematico dello spettacolo è un altro. Quale? “(Mascitelli) Innanzitutto c’è il desiderio di lavorare insieme cercando prima di capire con esattezza su quale argomento concentrarsi. La nostra direzione attuale è di costruire spettacoli che parlino anche di un tema difficile come quello della vecchiaia. Pensiamo che una riflessione sulla terza età sia necessaria e urgente, anche quando ad ascoltare c’è un pubblico di bambini. In “Don e Sancio” trattiamo di Alzheimer e di narcolessia, ma lo facciamo in modo leggero, divertente. Più che della malattia in sé, abbiamo voluto raccontare, partendo da un grande classico come Don Chisciotte, delle difficoltà incontrate da chi assiste una persona affetta da disturbi della memoria così gravi. In fondo qui il vero protagonista è Sancio, che nella nostra trasposizone è legato a Don da un legame di parentela, essendo suo fratello” 

“(Aroldi) E’ un dialogo stravagante fra i due che avviene tutto nell’arco della notte precedente un viaggio in Spagna, dove Don dovrà incontrare uno specialista per curarsi. Per alleggerire la storia e renderla comprensibile ai bambini, abbiamo giocato molto sulle stranezze di Don che si addormenta improvvisamente, colto da un attacco narcolettico, ogni volta che deve rivelare qualcosa di importante. L’assistenza di Sandro non sarà dunque facile ma offrirà occasioni per costruire momenti divertenti, surreali e spassosi, pur tenendo sempre a mente il motivo serio che scatena situazioni così paradossali”

Come sono questi Don e Sancio? “(Aroldi) Il mio Sancio è un eroe buono, un uomo paziente, ingenuo se vogliamo, ma pervaso dall’affetto per il fratello malato. È una persona semplice, ricca di umanità. Insomma, qualcuno che è bello incontrare e in cui sarebbe utile identificarsi per meglio comprendere certe dinamiche di relazione.”

“(Mascitelli) Don è, invece, molto vicino alla figura del romanzo. E’ un folle che travisa tutta la realtà, e che la inventa ex novo, immaginandosi di essere lui stesso un cavaliere errante, come al tempo di Don Chisciotte: ad esempio cavalca una cassapanca armato di un ombrello, come elmo ha un copri-lampada, fronteggia dei mulini che sono ventilatori... Ha però anche quella cattiveria involontaria tipica di chi è malato d’Alzheimer e la sfoga sul povero Sancio. Nel nostro testo è facile ravvisare anche qualcosa dell’"Enrico IV" pirandelliano; in particolare  nel passaggio in cui Don risponde “non si può avere sempre 35 anni” e, con grande emozione, condivide per pochi secondi un ricordo insieme al fratello. Mi sono molto documentato sull’Alzheimer e quello che si apprende nel conoscere la malattia è davvero molto triste: è come se sparissero le persone da una foto e restasse solo un panorama che il malato poi riempie con quello che crede di vedere. Noi abbiamo cercato di trattare questo tema così doloroso con grande poesia, sensibilità e leggerezza”

Uno spettacolo che parla anche di una profonda amicizia e chi meglio di voi a raccontarla. Pregi e difetti che emergono da un sodalizio artistico e umano pluriennale come il vostro. “(Mascitelli) Il problema maggiore è che a volte sembriamo la stessa persona. I bambini spesso ci chiedono se siamo fratelli. Proprio per questo la sfida più grande è di non apparire in scena come qualcosa di già visto, sempre uguali a noi stessi. Ecco perché cerchiamo di darci caratteristiche molto diverse rispetto ai lavori che rappresentiamo. Stavolta, ad esempio, lui è quello saggio e io quello matto. Ma c’è anche una novità qui: lo spettacolo è stato scritto a quattro mani, partendo da una prima stesura di Mario (Aroldi)”

“(Aroldi) I vantaggi sono quelli che arrivano dalla facilità con cui ci muoviamo sulla scena, perché ormai ci conosciamo perfettamente. Tutto è molto più semplice, anche l’improvvisazione. Possiamo dire di essere in una simbiosi artistica che si è rivelata anche nella stesura di questo testo specifico:  siamo partiti da una mia idea e da una prima scrittura mia personale ma poi, nel confronto in teatro, abbiamo apportato insieme molte modifiche, tutte decise in pieno accordo”

Tornando al tema principale, come può l’arte aiutare i bambini a capire meglio temi ardui come la morte, la malattia e la follia? Quali soluzioni e strategie occorre adottare? “(Aroldi) Penso che l’arte, e il teatro specialmente, aiuti di più gli adulti a parlare di certi argomenti ai bambini. Suggerisce delle chiavi di lettura, dei modelli, degli esempi. Sostiene i grandi nell’approfondimento di certe tematiche e propone strategie nel confronto con i più piccoli. Avvia, credo, un percorso di conoscenza reciproco e lo fa nella sincerità della messinscena, che ha sempre una verità in serbo per noi anche quando questa è raccontata con il sorriso. È entusiasmante toccare temi "da grande", coinvolgendo i bambini.”

“(Mascitelli) Da genitore credo che sia fondamentale trovare sempre le occasioni giuste per dialogare con i propri figli e proporre anche temi non facili, per certi versi spinosi. Il teatro, così come le favole, offrono la possibilità di parlarne insieme. E va in questa direzione la strada che abbiamo intrapreso da tempo: ci ispiriamo a testi celebri per costruire storie a noi più vicine e approssimarci a questioni che ci interessano nella quotidianità”

Parlando del progetto “Il rumore del lutto”, in cui questo spettacolo si inserisce, quanto è importante, a parere vostro, recuperare sul piano artistico e culturale una riflessione sul tema della morte, soprattutto se rapportata a un contesto sociale più improntato all’edonismo e alla ricerca esasperata del benessere? “(Mascitelli) Noi abbiamo iniziato ad aderire a questo bel progetto anni fa con “Icaro e la falena”. È indispensabile ricordare, soprattutto alle giovani generazioni, che la morte fa parte della vita, che è questo il ciclo dell’esistenza e che solo comprendendo questo principio si può apprezzare appieno il valore della vita stessa.”

“(Aroldi) Lavorando quasi ogni giorno nelle scuole, a contatto con bambini anche molto piccoli, in qualche modo sento fortissimo l’entusiasmo per la vita, lo percepisco nello loro allegria, nella voglia d'imparare e crescere. Ma il bello del mio lavoro di artista è appunto questo: comunicare e aiutare a comprendere anche altro, le mille sfaccettature del nostro essere umani. Ed è una grande responsabilità perché i bambini ti credono, quasi come se si avesse un superpotere. Nella creatività dell’arte sanno riconoscere l’autenticità di un messaggio”

L’ultima domanda riguarda le vicissiutidini che avete attraversato recentemente. Come ha risposto il vostro pubblico al cambio di sede e come sta evolvendo la situazione? “(Mascitelli) Ci sono ancora delle difficoltà perché tuttora molti spettatori interessati agli spettacoli raggiungono via Pini e poi ci chiamano, dimenticando che adesso ci troviamo in via Cuneo. In generale, però, l’affetto enorme del nostro pubblico più fedele ci sta ripagando da fatiche fisiche e psicologiche non facili. Ci dispiace solo di accoglierlo fuori dalla casa in cui siamo cresciuti e ancora in attesa di conferme. È triste dirlo, ma è come se lo ricevessimo in una camera d'albergo. Nonostante ciò, siamo fiduciosi per il futuro. Con un po’ di follia, ma restiamo inguaribili ottimisti, pieni di coraggio”

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