L'intervista

Le interviste a protagonisti della scena parmigiana (e non solo) a cura di Francesca Ferrari, giornalista e critico teatrale.

ARIANNA SCOMMEGNA: "ANTIGONE E LA TRAGEDIA DEL PENSIERO"

È una collaborazione di vecchia data, quella fra l’attrice Arianna Scommegna e il regista Gigi Dall’Aglio, fondata su una stima profonda, solida e maturata nel tempo, dall’anno del diploma alla Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano, quando Dall’Aglio curò la regia del saggio finale in cui Scommegna era interprete, ai tanti successi e prestigiosi riconoscimenti (Premio Ubu, Premio della Critica, Premio Lina Volonghi, Premio Hystrio ) ottenuti dall’attrice milanese grazie anche a lavori firmati da Dall’Aglio stesso, quali “Cleopatràs” e “Mater Strangosciàs”. Talento, costanza, studio, dedizione e impegno riconosciuti da pubblico e critica e donati generosamente sulla scena, ma anche nell’azione progettuale e organizzativa: Arianna Scommegna è, infatti, una delle soci fondatrici di A.T.I.R. Associazione Teatrale Indipendente per la Ricerca, nata nel 1996 grazie alla volontà e all’entusiasmo di sette giovani neo-diplomati proprio alla Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi. Ed è appunto con la nuova produzione di A.T.I.R., la tragedia di Sofocle “Antigone” in scena giovedì 18 luglio alle 21.15, all’Arena Shakespeare di Teatro Due, che il sodalizio fra Arianna Scommegna, nel ruolo della protagonista, e Gigi Dall’Aglio, alla regia, troverà una rinnovata e importante occasione di esprimersi. Sul palco, anche una compagine di bravissimi interpreti: Aram Kian, Carla Manzon, Stefano Orlandi, Francesca Porrini, David Remondini e Sandra Zoccolan.

Signora Scommegna, vorrei chiederle subito dello stato attuale dell’Associazione. Cosa può dire di “ATIR on the Road”? “E’ la nostra realtà attuale. Come Associazione abbiamo gestito e curato per ben 10 anni la stagione del teatro Ringhiera di Milano, che purtroppo però ha dovuto chiudere per lavori di ristrutturazione e messa in sicurezza. Così, da due anni a questa parte siamo “on the road”, ossia molte realtà teatrali nazionali ci offrono residenze e ospitalità per poter sviluppare la nostra progettualità e i nostri spettacoli. Non è ovviamente una situazione facile perché la nostra compagnia è numerosa: oltre ai 12 soci fondatori, si contano una cinquantina di persone fra maestranze e artisti. Non è semplice, anche perché quando avevamo una sede riuscivamo a realizzare tante attività laboratoriali che avevano portato anche a una bella riqualificazione culturale del quartiere di Milano in cui sorgeva il Ringhiera. Purtroppo, molti ritardi burocratici hanno rallentato la messa in opera degli interventi di ristrutturazione e i lavori ufficialmente non sono ancora iniziati. Quello che è incoraggiante per noi è aver raccolto il sostegno e l’affetto di tante istituzioni teatrali, che continuano ad offrirci spazi in cui creare e mettere in scena”

La regia del grande Gigi Dall’Aglio segna un ritorno alle origini e, al tempo stesso, il consolidamento di una felice collaborazione. “Sì, il desiderio di lavorare con lui proprio con uno spettacolo di teatro classico come la tragedia greca, c’era da tempo. È vero che ATIR segue questa direzione da sempre, di aprirsi a nuove prospettive e punti di vista, sia di registi che di attori, ma nel caso specifico di Gigi abbiamo voluto ritornare ai fondamenti del nostro percorso artistico, un po’ perché lui è stato davvero un maestro per tutti noi, un po’ perché in qualche modo ci sembrava logico, dato che mettevamo in scena uno dei più antichi capolavori della storia del teatro. Un ritorno alle origini anche simbolico, dunque, per costruire uno spettacolo dal respiro corale”  

Che dibattito accende oggi una tragedia classica come Antigone? “E’ sempre un’opera modernissima, di una contemporaneità incredibile, perché affronta, forse come nessuna, la contrapposizione tuttora insolubile tra la legge scritta dagli uomini e la legge universale che è insita nell’essere umano. Solo quest’ultima risponde a problematiche legate all’esistenza, oltre le regole scritte e i dogmi; essa guarda, infatti, al rispetto dell’uomo, della vita e, di conseguenza, del mondo dei morti. Se ci pensiamo, racchiude tutto quello che ci permette di essere qui oggi, oltre il tempo di Sofocle. Noi siamo il senso di colui che è venuto prima di noi. Ovviamente, questo presuppone un ribaltamento di sguardo, ma senza che mai venga escluso il principio fondante di questa tragedia: ciò che conta davvero è la dignità dell’uomo. Creonte e Antigone non la penseranno mai allo stesso modo, ma Antigone non vuole imporre una idea politica diversa da quella di chi detiene il potere. Lei è eroina non perché sia predestinata ad esserlo, o perché fautrice di una nuova legge. Il suo eroismo nasce dalla sua reazione umana, è un’azione pacifica e, dunque, più carica di verità. Antigone reagisce semplicemente a ciò che è ingiusto e decide di andare a seppellire il corpo del fratello defunto, dimostrando così la sua grandezza d’animo”

Sul piano della messinscena che Antigone è questa di ATIR? “Non vede un riadattamento storico, non c’è una sua attualizzazione. La forza immensa della tragedia va oltre i confini spazio-temporali, e pertanto non viene determinato un contesto storico o sociopolitico. La vicenda è ricondotta alla sua essenza, alla potenza degli elementi evocativi. È, però, una rappresentazione molto comprensibile, che sa arrivare davvero a tutte le fasce di pubblico, e questo è un tratto distintivo delle regie di Dall’Aglio. La bellezza dello spettacolo risiede anche nel suo essere semplice, pur nella complessità delle tematiche indagate, e questo lo abbiamo constatato direttamente, soprattutto durante le repliche per le scuole: i più giovani erano rapiti, conquistati dalle dinamiche e dalle parole. La nostra Antigone è più che mai la tragedia del pensiero, poiché è proprio nel dialogo, nello scambio fra i protagonisti, che esso si fonda”

Spettacolo politico, dunque, che interroga sull’urgenza del confronto fra gli esseri umani. Cosa resta oggi, nella pratica, anche in quella artistica, della forza dialettica evocata da Sofocle? “Forse a restare sono proprio i teatri, i pochi luoghi rimasti dove ancora c’è spazio per il pensiero, per l’ascolto dell’altro, per il riverbero della poesia. Più che altrove, il teatro è la casa delle domande che possono e devono mantenersi aperte. A volte è di questo che abbiamo bisogno: non di risposte ma di domande che s’inseguono senza sosta e che, nella forma dialettica, portano costantemente a chiedersi “qual è il limite? Dove devo fermarmi e fin dove spingermi?”. Qui a teatro, la comunità ritrova, con una calma e un rispetto che sono rari da riscontrare in altri luoghi, quelle che sono le domande sulla propria condizione, la coscienza, il senso civico. Il teatro non deve fare politica ma deve far riflettere, deve condurre a ragionare, ad elaborare una riflessione in piena libertà, senza arrivare per questo a definizioni o risposte assolute”        

Cosa significa per lei interpretare un’eroina come Antigone? “E’ una grande sfida e una enorme responsabilità. La straordinarietà di questo personaggio è proprio nel suo essere così profondamente umana di fronte al limite dato dalla legge. Antigone reagisce a una ingiustizia e quel suo gesto assume un valore speciale, quello di chi cammina sul filo del rasoio. Interpretare le sue parole è assolutamente un privilegio e quando sono in scena non posso non pensare a coloro che oggigiorno sfidano la legge degli uomini per salvare la dignità dell’essere umano. Antigone ci insegna ancora che dove non c’è una soluzione politica, c’è comunque un limite oltre il quale non si può andare, poiché se rispettare la legge significa non rispettare la vita, la contraddizione che scaturisce non può che condurre realmente alla tragedia”

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