L'intervista

Le interviste a protagonisti della scena parmigiana (e non solo) a cura di Francesca Ferrari, giornalista e critico teatrale.

FILIPPO DINI: "LA FORZA DI PIRANDELLO NON TRAMONTA MAI"

Della forza drammaturgica di Pirandello il mondo del Teatro non potrà forse mai fare a meno. Le trame intricate, soprattuto sul piano psicologico, delle sue opere stringono ogni volta un rinnovato patto con lo spettatore, nel mentre sanno nascondere magici segreti e incitare a interrogazioni via via più profonde sulla dicotomia fra Essere e Apparire, vexata quaestio sempre più attinente al nostro Presente; storie, dunque, capaci di comunicare attraverso quella lingua universale che solo ai grandi classici può davvero appartenere. Ne è convinto il regista e attore Filippo Dini, tra gli artisti più apprezzati e seguiti della sua generazione, che proprio con un capolavoro della produzione pirandelliana, “Cosi è (se vi pare)”, ha deciso di misurarsi, per sottolineare anche con questo recente allestimento, prodotto dal Teatro Stabile di Torino e che porta la sua firma registica, oltre che il diretto contributo attorale, la straordinaria modernità del grandissimo drammaturgo siciliano. Come già in passate produzioni di cui ha curato la regia, Dini ha potuto contare su un cast di attori formidabili, quali Maria Paiato, Andrea Di Casa (che ha sostituito Giuseppe Battiston dopo la prima nazionale), Benedetta Parisi, Nicola Pannelli, Mariangela Granelli, Francesca Agostini, Ilaria Falini, Dario Iubatti, Orietta Notari, Giampiero Rappa e Mauro Bernardi: un gruppo affiatato di interpreti di alto calibro per raccontare la celebre vicenda della signora Frola, del signor Ponza, suo genero, della figlia/moglie defunta (o presunta tale) e dei gretti borghesi del paese che tentano di carpirne quasi ferocemente l’intimo segreto, sempre sul sottile confine fra pazzia e normalità, realtà e sogno, verità e finzione. Dopo il debutto a Torino nel dicembre scorso, lo spettacolo ha da poco iniziato la sua tournée e sarà in scena al Teatro Asioli di Correggio (RE) martedì 15 e mercoledì 16 gennaio, alle 21.          

Come regista è la prima volta che si cimenta con Pirandello. Quale ispirazione ha portato alla scelta di quest’opera? “In realtà è la prima volta anche come attore. La scelta non è stata semplice. La cosa che mi ha, però, fortemente attratto da subito di questo testo era la ricerca spasmodica di Verità da parte del gruppo di personaggi borghesi. Cercano invano di incasellare il concetto stesso di Verità, come se fosse un Bene materiale da possedere e consumare, senza rispettare quelle regole che sono insite all’idea di Verità, ne costituiscono il suo fondamento. Si tratta di un argomento estremamente contemporaneo. E’ quanto di più affine al nostro modo di sentire oggi: la brama di Verità nella nostra epoca esplode quasi in maniera violenta, incontrollata, folle, grottesca. Si desidera e si vuole a tutti i costi possedere una verità, che non è detto che sia quella corrispondente alla realtà, ma è quella che può in parte soddisfare la nostra affamata curiosità. Il mistero della Verità assoluta è, però, per sua stessa natura insondabile; desiderare di violarlo porta inevitabilmente a innescare un processo di pura follia. Non è possibile stravolgere delle verità per arrivare a una Verità sola, univoca e incontrovertibile. La Verità deve essere sempre messa in discussione. E’ Pirandello stesso a suggerircelo: la Verità ha più facce, si compone di una contraddizione che dobbiamo rispettare, proprio in quanto inafferabile.”

Si è detto che questa sua lettura di Pirandello guarda al cinema surrealista, in particolare a quello di Buñuel. Perché? “Ammetto che si è trattato di un mio piccolo azzardo, ma giustificato e motivato da questo ragionamento: al tempo di Pirandello ovviamente ancora non si parlava di cinema surrealista, ma si era già ampliamente diffusa la psicoanalisi, da cui poi il cinema surrealista ha attinto a piene mani. Credo fortemente che le idee attraversate in tempi più recenti da registi come Buñuel già aleggiassero nel lavoro di Pirandello. Del resto, non sono stato il primo ad accostare queste due forme espressive: Massimo Castri nelle sue note di regia a “Così è (se vi pare)” aveva parlato di una vicinanza ideale e strutturale al film L’ Angelo sterminatore”

Anche in questo spettacolo ha potuto avvalersi di un gruppo di attori eccezionali. Sul piano della regia quali difficoltà e quali vantaggi comporta dirigere un coro di personalità artistiche e umane così forti? “Posso felicemente dire che ci sono solo vantaggi; la bellezza di poter lavorare con artisti così preparati è una fonte di gioia oltre che di stimoli intellettuali, cosa che mi auguro reciproca! Penso che molto dipenda anche dal mio modo di sentire l’esperienza sulla scena. Questa risiede e vive nel desiderio continuo di confrontarsi con gli altri. E’ un modo di lavorare che ho affinato molto durante la collaborazione col Teatro Due di Parma: il risultato sta solo nella ricchezza delle qualità che possono sprigionarsi quando si ragiona e lavora in termini di Ensemble e non di singoli individui. Io non dirigo in senso tradizionale e sono tutt’altro che un capocomico. Io lavoro assieme agli attori in scena. Ritengo anche che sia l’atteggiamento più contemporaneo che si possa tenere oggi. Il Teatro relegato a una o due individualità, al grande Maestro, per come è comunemente intesa la figura del regista, è veramente un' idea superata, secondo me. Oggi si dovrebbe parlare soltanto di Ensemble, questa è l’epoca giusta per concepire l’arte come un risultato del lavoro d’insieme, un prodotto collettivo. Io punto sul gruppo, non sui singoli e anche in questo spettacolo è stato così: c’è il poeta e l’Ensemble di cui io faccio parte. Alla fine, quello che si vede in scena è il frutto di un confronto, di uno scambio, di un dialogo, di una relazione di teste”

Ma a parer Suo, quest’opera è più una commedia o più un dramma tragico sul tema della colpa, annidata sia nel sentimento del singolo individuo, sia nell’ostinato atteggiamento borghese d’indagare le sventure degli altri? “Mi verrebbe quasi da definirla “commedia tragica”, anche se Pirandello non si può semplificare in una definizione soltanto. La chiamerei così per rispetto alla visione onirica che avvolge la storia: il testo racconta una tragedia, quella della signora Frola e del signor Ponza, e del loro rapporto con i borghesi. Ciononostante, assieme al registro tragico, è l’ironia un po' surreale a pervadere l’atmosfera generale. Si ride alla maniera di Pirandello, certo, e dunque ci si fa beffe della stupidità borghese e di un certo piacere sadico nell’invadere la vita degli altri. Ed è qui, quando noi pubblico ci accorgiamo di quello che va realmente in scena, che la risata naturale si carica di profonda amarezza”.

Un testo stratificato questo, che forse più di altri di Pirandello schiude diversi scenari tematici. A quali di questi si richiama con più convinzione nel suo lavoro registico? “Forse il tema più caro a tutti i componenti del gruppo è proprio quello legato allo scontro tra la ricca borghesia e il il ceto sociale inferiore. E’ una delle tante chiavi di lettura ed è associata a quella compositiva del contrasto fra il melodramma e la tragedia. Il signor Ponza e la signora Frola sono due individui che provengono da una classe sociale bassa; inoltre, sono reduci dal terremoto della Marsica che colpì il Centro Italia nel 1915 (il testo di Pirandello risale a due anni più tardi) e incontrano in questa cittadina un gruppo di borghesi che, al contrario, non condivide nessuna apparente tragedia. E’ lo scontro tra il pover’uomo e il ricco, ma è anche quello fra chi vive la tragedia sulla propria pelle e il pressapochismo e l’invadenza di chi non conosce lo stato d’animo di un superstite. Il benestante vuole possedere la tragedia del povero, la vorrebbe inglobare, introiettare, ma senza esserne intaccato. E’ quanto accade oggigiorno sotto ai nostri occhi: un fatto tragico di cronaca o una catastrofe ci arriva e ci spinge a indagarne gli aspetti, a conoscerli con maggiore dovizia di particolari. Sembra incredibile ma è proprio la volontà di possedere la tragedia degli altri che ci accomuna: desideriamo comprendere dentro di noi il mistero della tragedia, eppure vogliamo ogni volta preservarci da essa, non vogliamo che ci contamini. In sintesi, è il principio stesso su cui si sviluppa la storia raccontata da Pirandello.”

Perché Pirandello sa essere ancora così attuale, in grado di parlare all’uomo di oggi e scuoterlo, di smascherarne limiti, vizi e virtù? Dove risiede il nucleo della sua forza, secondo Lei? “Penso che si possa trovare nella fine ironia del linguaggio, nell’eleganza dei dialoghi. Pirandello ha la capacità di ridere dei nostri vizi, e di riderne con un sorriso crudele, disvelatore, beffardo, caustico, se vogliamo, eppure garbato. Un suo illustre coevo Cechov aveva un sorriso più benevolo nei confronti dell’essere umano. Pirandello ci guarda quasi senza pietà e per questo ci turba. Ma ha anche un’altra potente freccia al suo arco: quella di aver saputo scrivere drammaturgie originalissime e ancor più di aver immaginato i personaggi che le abitano in una maniera unica e inimitabile. Pirandello ha reinventato il concetto stesso di personaggio, ha saputo descrivere una realtà che ci assomiglia moltissimo, fatta di interni di case, di ingressi, di stanze, di cose concrete, reali, con i personaggi che sono caratteri riconoscibili eppure, in qualche modo, sfuggenti. Non tutto è realistico, dunque: essi vengono come evocati, quasi fossero spiriti, figure incompiute, irrisolte. Questa modalità di descrivere la realtà porta a una visione frastagliata, succede come nei sogni, come se attraversassimo un angolo dell’inconscio. Ed è così che l’autore sa di arrivare perfettamente e con precisione al cuore dei nostri vizi e delle nostre passioni. L’atmosfera del sogno permette di raccontare quello che non si potrebbe, legittima il disvelamento delle pulsioni più recondite, delle passioni più accese, lancinanti, a volte distruttive. La qualità del genio di Pirandello è di averne parlato con eleganza, facendo leva sulle regole del Sogno. Così la verità emerge, si manifesta, ma senza annientarci. Ci sprona a prendere consapevolezza, ma al tempo stesso ci protegge, ci mostra qualcosa di insopportabile, ma ci tutela. L’ironia e l’atmosfera onirica sono il mezzo per attutire l’impatto della verità su chi guarda e ascolta”  

Con le sue opere Pirandello intendeva sfidare apertamente il pubblico borghese, instillare dubbi, sgretolare opinioni apparentemente inscalfibili, indebolire certezze consolidate. C’è una volontà sovversiva manifesta anche nella vostra traduzione scenica? “E’ vero che Pirandello intendeva scuotere il pubblico. Arrivò a dichiarare che voleva con il suo lavoro “mettere le dita negli occhi degli spettatori”. Nella messinscena come l’abbiamo concepita noi non c’è nulla di apertamente sovversivo, però credo che, a suo modo, lo sia comunque. Il nostro spettacolo ha, in effetti, una sorta di ricercata degenerazione graduale dal primo al terzo atto: i borghesi in scena perdono letteralmente la testa, e vivono un progressivo crollo mentale e nervoso, fino a toccare, nelle battute conclusive, un registro grottesco, al limite del parossismo. Questo per alcuni può apparire sovversivo, pensando al Pirandello tradizionale, ma lo è in una prospettiva intenzionale del lavoro. E’ come gettare uno sguardo preoccupato sul futuro che sembra scivolare sempre più velocemente verso la follia. E’ una preveggenza grottesca in forma teatrale. Perderemo totalmente la lucidità, la capacità di raziocinio, oltre che l’empatia verso l’Altro? Il nostro desiderio di possedere ogni cosa con un minimo sforzo, con l’ausilio di un solo click, ci condurrà alla pazzia, senza risoluzione alcuna? Sembra incredibile eppure quest’opera del 1917 parla dei pericoli del nostro tempo”.

(per info e prenotazioni sullo spettacolo: 0522 637813)

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